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Childfree, childbusy, Childless… l'estate delle mamme

Agosto 2013 

C'è la copertina di una rivista che con l'immagine di una coppia spaparanzata e rilassata a prendere il sole mette in evidenza i lati positivi dell'essere childfree (l'orgoglio di una scelta libera che libera e che si differenzia dalla semplice sopportazione di una mancanza dei childless).
C'è l'articolo di Vita che rivendica i vantaggi non solo morali di essere childbusy (l'orgoglio di una scelta libera che impegna e che si differenzia dalla semplice sopportazione di una presenza).
Che poi, a guardarci bene dentro, si scopre che tra i childfree ci sono anche i childless, cioè quelli che i figli li avrebbero voluti e che purtroppo non sono arrivati e che scambierebbero volentieri la propria libertà con un po' di occupazione. E si scopre che sia childbusy che childfree soffrono la mancanza di quel che non hanno. Che non vuol mica dire che rinnegano la propria scelta. Solo vuol dire che manca loro qualcosa. E che questo produce fatica e sofferenza. Che non è esattamente un “solo”. Secondo me. Ma non è questo “il punto” o lo è solo in parte.
C'è (nel mio piccolo mondo) una conversazione nata su facebook in cui la contrapposizione non è tra childless, childfree e childbusy ma tra mamme a tempo pieno e mamme lavoratrici. Le prime che rivendicano una scelta importante e non residuale, ma transitoria e non eterna. Come dire: faccio la mamma a tempo pieno non perchè non so o non voglio lavorare. Ma perchè penso sia un valore. E quando i bambini saranno cresciuti voglio tornare ad usare le mie competenze e capacità e partecipare direttamente alla vita sociale e lavorativa. Cosa c'è di sbagliato in questo? Nulla. 
Ci sono io, come mamma lavoratrice che simmetricamente affermo: faccio la mamma lavoratrice non perchè non so o non voglio occuparmi dei miei figli ma perchè penso sia possibile essere mamma e lavorare senza essere meno mamma di una mamma a tempo pieno e meno lavoratrice di un altro lavoratore. Beh, cosa c'è di sbagliato in questo? Nulla.
Però, in pratica, mica sono vere 'ste cose. Perchè le statistiche dicono che di mamme che tornano serenamente e in modo soddisfacente al lavoro dopo che ifigli sono cresciuti non ce ne sono tante. E con la crisi è peggio. E quindi la scelta di oggi delle mamme a tempo pieno rischia di essere - indipendentemente da capacità, competenze e volontà - una scelta per sempre. E chi ci rimette, secondo me, non sono solo le mamme a tempo pieno.
Ma non è vero nemmeno l'opposto. Perchè io un equilibrio sostenibile tra lavoro, figli, coppia, famiglia e minima sopravvivenza personale non l'ho ancora trovato. Alterno periodi di equilibrio precario a periodi di assenza di equilibrio. E l'equilibrio complessivo è una successione di disequilibri e mancanze: lascio indietro di qui mentre recupero di là; poi recupero di qui e lascio indietro di là. Che poi, tutto sommato le cose vanno. Perchè tanti disequilibri successivi permettono pure di correre. Però si spreca un sacco di energia. E appena si rallenta un attimo, magari perchè manca il fiato, si cade.
Ecco, allora, per le mamme lavoratrici l'estate è un periodo complicato non tanto per le valigie da fare, per il non poter stare sdraiati a leggere, per lo stress da ristorante o per i viaggi sognati e mancati (tutte cose presentissime, tra l'altro). Ma è un periodo complicato soprattutto perchè si rallenta. E tutto il disequilibrio emerge. Perchè alle vacanze si chiede tutto: si chiede di costruire un ritmo e una quotidianità, si chiede di rinsaldare rapporti e relazioni, si chiede di rispondere a tutti i bisogni accumulati (dei singoli e della famiglia in quanto tale). Con l'ansia di dover far stare tutto in un tempo che è comunque sempre troppo breve. E con la frustrazione di sapere che la quotidianità vacanziera è una promessa fasulla, perchè poi si riprende e tutto ritorna come prima.
Allora forse la pista di soluzione (che non ho) sta nell'essere consapevoli che ogni scelta (o non scelta) ha i suoi lati negativi (childbusy e childfree, mamme a tempo pieno e mamme lavoratrici), sta nel non tenere solo tra donne e mamme questa fatica e sofferenza. Perchè l'estate dei papà lavoratori (cioè di quasi tutti i papà) magari sarà meno consapevole ma spesso ha le stesse caratteristiche di quella delle mamme lavoratrici. E, soprattutto, perchè cercare modi sostenibili di farsi carico della cura delle nuove generazioni non può essere un problema di genere.
E poi c'è quello che ho trovato in un tweet l'altro giorno: non abbiamo bisogno di altre ferie. Abbiamo bisogno di una vita migliore.
PS: E per favore non usate i termini casalinghe e donne in carriera che non c'entrano niente. Perchè le mamme a tempo pieno non rinunciano a lavorare fuori per avere una casa pulita ed in ordine e perchè le mamme lavoratrici comprendono tante cose diverse (commercianti, educatrici,piccole imprenditrici, operatrici sociali, medici ma anche operaie,impiegate e dipendenti...) donne che hanno il timore di perdere un'entrata che regge la famiglia, donne che vivono il lavoro come una responsabilità e vedono che la loro assenza procurerebbe problemi ad altri, donne che interpretano il lavoro come un modo per contribuirealla società... tante cose anche diverse tra loro. Ma l'idea di scalata economica o sociale non è la categoria complessiva che le può rappresentare.